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Si promuovono il maltrattamento degli animali nei luoghi di origine, lo sfruttamento di lavoro minorile, la commercializzazione di specie esotiche e contaminazioni ambientali.

E’ da qualche decennio che in varie parti del centro-nord d’Italia con l’arrivo dell’estate si organizzano le famigerate “sagre delle rane”. Per la Toscana basta citare ad esempio le sagre di Staggia Senese (SI) , di Paganico (GR), di Baccaiano (FI), per arrivare alla festa allestita dalla  Misericordia e dal gruppo Frates di Brozzi (FI). Il WWF si chiede come sia possibile ancora oggi, alla luce del difficile problema della preservazione delle risorse naturali, continuare a proporre queste iniziative che contraddicono tutti i principi, ormai ampiamente condivisi, dello “slow food”, della “filiera corta” e del “km zero”, per i quali il cibo è quanto più buono e giusto tanto più è prodotto nel rispetto dell’ambiente e in prossimità dei luoghi del consumo. Bisogna ricordare infatti che ormai la realizzazione di queste sagre costringe gli organizzatori a rivolgersi a paesi asiatici o dell’Europa dell’est per l’importazione di esemplari di rane congelate, dopo che a partire dagli anni ’70 il patrimonio locale di anfibi si è drasticamente ridotto per vari fattori fra cui la graduale scomparsa di habitat naturali, l’inquinamento delle acque ed il progressivo riscaldamento globale. Mentre in Europa la normativa definisce precise direttive volte alla tutela di queste specie, oramai a rischio mondiale di estinzione (normativa recepita in Toscana con la legge regionale toscana 56/2000), con queste sagre si contribuisce a privare altri Paesi di queste risorse, promuovendo atteggiamenti e meccanismi a dir poco insostenibili. Si parla infatti di svariati quintali di anfibi a sagra, che ben poco hanno di tipico, e che contribuiscono ad un commercio che si porta dietro, tra l'altro, il maltrattamento degli animali nei luoghi di origine, lo sfruttamento di lavoro minorile nelle aree di raccolta, la commercializzazione di specie esotiche, dubbi sulla sicurezza alimentare e sulla possibilità di importare, insieme alle rane, anche parassiti e patologie potenzialmente dannose per gli anfibi di casa nostra, come già del resto accaduto. Perché allora non trasformare queste sagre in qualcosa di più accettabile e meno impattante per l’ambiente? Sagre come quella della rana dovrebbero essere saggiamente “riconvertite”, in favore di alimenti realmente tipici e biologici, che il nostro territorio sta già producendo, contribuendo positivamente a cambiare la consapevolezza delle persone verso il cibo e ciò che la sua produzione comporta, anche in termini ambientali. E magari adottando un approccio virtuoso per la riduzione intelligente delle tonnellate di rifiuti (fra cui piatti e bicchieri di plastica) che le sagre contribuiscono ogni volta a produrre.